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Futurismo! PDF Stampa E-mail

28 gennaio 2008

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Mentre la Campania è invasa dal fetore e dai rifiuti, il Papa viene cacciato dall’Università, il governo Prodi cade malamente sulla buccia di banana Mastella, sul lavoro si muore come in guerra, l’economia è in completo collasso e il Paese è stanco e depresso, qualcuno non si arrende e ci delizia con meravigliose note di colore: dal rosso della Fontana di Trevi alle palline colorate che hanno sommerso la fontana di Piazza di Spagna. Nessun ferito, nessun danno, nessuna deturpazione al patrimonio artistico, solo uno slancio di fantasia nella nostra claudicante e incolore Italia.
L'autore dei due gesti eclatanti, Graziano Cecchini, autentica le sue opere come futuriste, atti improvvisi ed estemporanei che bucano i media. L’Italia respira ancora. Mentre Prodi e Veltroni si sdegnano, forse troppo abituati al grigio topo, noi sorridiamo per le pennellate di colore del Cecchini. Lo “arrestano”, si prende multe, e lui si fa un grassa risata alla faccia al paludoso vecchiume italico, tutto industria e schei.
Le due opere del neofuturista romano non sono solo un gesto artistico fine a stesso, ma vanno sottilmente a richiamare l'attenzione sul degrado di alcune zone di Roma, dove si preferisce spendere soldi per occasioni da strette di mano che per costruire case e valorizzare le periferie (sì, proprio quelle dove abita il popolo). Futuristi o non futuristi, destra o sinistra, l’Italia ha bisogno della creatività e dell’inventiva che hanno fatto grande e apprezzata la nostra cultura. Il rifiuto delle istituzioni che etichettano tutto ciò come “vandalismo” è il segnale che noi andiamo in un verso e i governanti in un altro, noi vogliamo ridere e loro vogliono farci piangere. A chi preferisce tagliare nastri di opere pubbliche fatte con appalti truccati e intrallazzi, noi rispondiamo che vogliamo più Cecchini e palline colorate, come vogliamo più rosso Trevi e meno basi americane nel nostro paese. E mentre quelli della Fiamma distruggono la casa fittizia del Grande Fratello (abbiamo goduto!), ci facciamo un altro sorriso, almeno per stavolta. Preferiamo la vitalità di tutto questo a dispetto del baratro che le eminenze grigie d’Italia ci prospettano con il sorriso in bocca, che siano di destra o sinistra non importa più.

Antonello Molella

 
Agnelli, un volgare capitalista PDF Stampa E-mail

28 gennaio 2008

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A Roma è stata organizzata una mostra fotografica su Giovanni Agnelli, “l’Avvocato”. I profili tracciati dai vari commentatori ed i titoli dei servizi televisivi e della carta stampata, mi hanno fatto pensare ad uno scherzo: “Il secolo dell’Avvocato”, “La vita di Sua Maestà Giovanni Agnelli”. Le citazioni illustri si sono sprecate. Fellini avrebbe dichiarato: “Mettetelo a cavallo e vi sembrerà un re”.
Il leccaculismo di fondo che anima i commentatori odierni è figlio di quello cinquantenario che ha costruito il personaggio “Avvocato Agnelli”, ed è ancora oggi al servizio della ormai quasi estinta famiglia, visto che i destini appaiono incarnati ormai dagli Elkann, piuttosto che dall’unico Agnelli, figlio di Umberto. Chi sia stato realmente Giovanni Agnelli è facile dirlo, ma prima ancora varrà la pena ricordare l’origine della famiglia.
Giovanni Agnelli, nonno dell’Avvocato, era figlio di un piccolo proprietario agricolo. Ufficiale dell’esercito, nel 1895 lasciò l’esercito e si dedicò al commercio di legnami. Successivamente, frequentando Torino, conobbe alcuni soci della già esistente FIAT. Riuscì a farsi nominare segretario, e con il tempo e con manovre finanziarie delle quali si occupò anche la magistratura, riuscì a diventare uno dei maggiori soci. La morte del padre dell’Avvocato, Edoardo, avvenuta nel 1935, designò quale erede il giovane Giovanni. Dapprima la protezione che il Fascismo imponeva verso i prodotti nazionali e dopo la guerra il boom economico e le nuove protezioni repubblicane, permisero alla FIAT di crescere e diventare la prima azienda del Paese. Artefice degli equilibri politici ed economici di quel lungo periodo, fu Vittorio Valletta, Direttore Generale e poi Presidente della Fiat dal 1920 al 1966, anno nel quale gli subentra Giovanni Agnelli. Per i successivi trent’anni la principale attività della Fiat sarà quella di ricevere contributi statali a fondo perduto per migliaia di miliardi, sempre dispersi in bilanci passivi, mentre l’attività lobbistica dell’Avvocato, diventato referente italiano di potenti elite finanziarie e massoniche d’oltreoceano (ricordate Kissinger in tribuna a vedere la Juve?), affonda le mani in tutta l’industria automobilistica nazionale, con la complicità di una classe politica succube delle volontà di poteri ben più forti  di quelli “democratici”. L’arte antica di leccare il culo trova sempre nuovi epigoni, e nell’italietta cialtrona cresce il mito dell’”Avvocato”. Quello che Fellini definiva un re, in realtà è stato un medio borghese con il nonno contadino, furbo ed approfittatore, distintosi per i bilanci fallimentari della superprotetta FIAT, che in Italia dal 1966 al 1996  ha certamente sprecato più risorse di quante non ne abbia create. Non si ricordano particolari qualità di quest’uomo, se non il vezzo di parlare con il tono di voce impostato, tipico dei parvenue, “i pezzenti sagliuti”. Altre imprese argonautiche, l’orologio sul polsino ed il tuffo dalla barca col pisello in vista. Giudicate voi. Era un uomo generoso? Aveva grandi ideali? Non pervenuto. E quindi perché dovremmo considerarlo un “aristocratico” ed addirittura dedicargli un secolo. I migliori erano considerati, nell’antica Grecia degli ideali olimpici, coloro i quali si distinguevano secondo un metro di valutazione spirituale e virile che non trova riscontri nella figura di Giovanni Agnelli.
Il capitalista snob, con un soprannome, altra caratteristica volgarmente borghese, l”Avvocato”, fu un lobbista sagace e certamente con delle qualità, che però non possono essere ascritte alla categoria dei valori assoluti e profondi, che fanno di un uomo un nobile, un aristocratico. I nuovi valori imposti dalle conosciute centrali di diffusione culturale, ci propongono i nuovi padroni del mondo, i banchieri, i finanzieri ed i loro servi noti al pubblico, quali figure di riferimento, con dei tentativi di mitizzazione che se non fossero tragici sarebbero comici. Ciampi, Agnelli, Draghi, Cuccia, gli intoccabili dell’italietta passata e presente, per noi saranno sempre usurai, pescicani e servi.

Marco Francesco De Marco

 
Attali d'Italie PDF Stampa E-mail

26 gennaio 2008

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Oggi l'organo ufficiale del pensiero unico liberista, il Corriere della Sera, metteva in primo piano le proposte di riforma della commissione guidata da Jacques Attali, nominato dal presidente francese Nicolas Sarkozy. Attali viene dalla sinistra, di quella sinistra che con la destra fa a gara a compiacere i poteri forti - il vero Potere nel mondo globalizzato. Solita solfa, quindi: risanamento finanziario, taglio a spese sociali, maggiore flessibilità (leggi: precarietà), lavorare di più per guadagnare di meno e via così, in omaggio ai voleri dei signori dell'economia.
Qualche pagina più in là, il padroncino del Corriere e vate del capitalismo nazionale, Luca Cordero di Montezemolo, fa sapere che la grande industria vede bene un governo delle "riforme".
Nel frattempo, in queste ore di consultazioni al Quirinale, fra i nomi che circolano per succedere a Prodi, oltre al presidente della Camera, Marini, e ad altri (Dini, Padoa Schioppa, lo stesso Montezemolo), fa capolino anche quello di Mario Draghi, il capo di Bankitalia, filiale del potere numero uno in Europa, la Bce.
Bene. Anzi, male. Malissimo. Chi tira i fili della politica italiana si muove per stringere sempre di più nella sua morsa quest'Italia dove il popolo non conta una cicca.
Male, quindi. Anzi no, bene. Perchè ci sarebbe solo da applaudire se il governo, la facciata istituzionale, venisse affidato a un Montezemolo, o a un Dini (uomo del Fmi), o a un Padoa Schioppa (ex Bce), o a un Draghi (ex socio Goldman Sachs, ex funzionario del Tesoro, liquidatore con Ciampi dell'industria pubblica negli anni '90, artefice massimo della svendita dello Stato alla finanza). Perchè almeno si darebbe un bel taglio all'ipocrisia della destra e della sinistra. Il Corriere di oggi si chiedeva: chi è il nostro Attali? Ce lo chiediamo anche noi. (a.m.)

 
Fare branco PDF Stampa E-mail

25 gennaio 2008

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"Eh, finalmente è caduto, Mortadella!". "Se si va a votare ci ritroviamo col nano di Arcore...". Commenti di gente comune mentre stamane acquistavo la mia mazzetta di giornali. Io: attonito, col sorriso a mezza bocca. E l'amarezza nel cuore.
Pensandola come il buon Marco Cedolin (leggetevi il pezzo a sua firma negli Articoli Ribelli, "Destrasinistra"), alla notizia della caduta di Prodi in Senato vengo colto da indifferenza olimpica. E' crollato sulla spartitocrazia di Ceppaloni. No, è finito perchè a Ceppaloni si teme una legge elettorale taglia-partitini. S'è liquefatto per la lotta interna col Pd di Veltroni. No, è andato in pezzi per l'assedio congiunto Confindustria-Vaticano-Fondo Monetario Internazionale. Tutto vero. Ma questo tutto non basta.
Caduto un governo se ne fa un altro. Non migliore o peggiore: semplicemente un altro. Che dovrà ingegnare nuovi modi per far credere al popolo di sudditi nonpensanti che "o crescita economica, o morte". Che dovrà spianare la strada alle "riforme", termine ingannevolmente neutro per dire "Stato più efficiente nel corrispondere agli interessi delle grandi concentrazioni economico-bancarie". Che dovrà sbrigare tutte quelle faccende di bottega che servono ai partitocrati per continuare a stare incollati alla sedia (leggi: riforma elettorale).
Il Potere non ha colore. Perchè non ne ha la Grande Truffa di una Repubblica feudale in cui il popolo è sovrano solo sulla Carta (costituzionale). O meglio, un colore ce l'ha: il colore dei soldi.
E la vita continua, per noi che alla cronache da Basso Impero che il palazzo ci regala coi suoi media allineati rispondiamo con fastidio e ribrezzo. Ma anche masticando amaro, sì. Perchè i sudditi, defraudati, presi in giro, ridotti a massa di manovra per politici burattini del Mercato, schiavi di un debito pubblico maneggiato come il più odioso ricatto mai inventato dal Potere, rintronati dalle armi di distrazione di massa - i sudditi non si ribellano.
E non lo fanno anche e soprattutto perchè a non farlo sono i movimenti che alla ribellione incitano, ma senza muovere un dito. Ognuno coltiva il suo orticello, limitandosi a parlarsi addosso, ciascuno chiuso nella propria nicchia narcisistica. Massimo Fini, intervistato poco tempo fa su questo blog, l'ha detto chiaro: basta con settarismi e personalismi. Si metta da parte ciò che divide e si dia forza a ciò che unisce. L'azione politica si fa badando al sodo e dando una priorità di ferro all'obbiettivo centrale: abbattere il sistema. E tutto ciò che diffonde dissenso, critica, indignazione e ribellione e che può ritrovarsi in un minimo comun denominatore - la riconquista della dignità di uomini e di cittadini - non va disperso in uno stolido abbaiare alla luna di lupi solitari. Bisogna fare branco.

Alessio Mannino

 
Comunisti rosč PDF Stampa E-mail

24 gennaio 2008

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Oltre un anno e mezzo di governo di centro-sinistra in un paese dell’Europa Occidentale, due partiti comunisti all’interno della coalizione...
Il paradiso del lavoratore salariato, la condanna del sistema capitalistico, l’inferno delle forze reazionarie, il “de profundis” della Chiesa romana, il corto circuito dell’alleanza atlantica, la nazionalizzazione delle “miniere di carbone”, la dura legge del piano quinquennale?
Discendiamo negli inferi del socialismo reale:
Fioroni rilegge la “Riforma Moratti” alla bolscevica: piu’ soldi alle scuole private...
Finanziaria Uno ad opera del nostro agente all’Avana per conto della BCE, Padoa Schioppa: tassati ceti medio-bassi, ceti bassi a marcire nell’indigenza;
Risparmi su scuola pubblica, riduzioni spese correnti a enti di ricerca e università.
Liberalizzazioni Bersani, il ministro dal “coito interrotto”: tutte evaporate un attimo prima.
Ici e Vaticano: graziati, per intercessione da oltre cortina.
Cuneo fiscale: 2/3 all’"odiato” padronato, con preferenza per i “portatori sani di contratto a termine”,  1/3 ai “contributi familiari” “erga omnes”, famiglia di Arcore compresa...
Primo tesoretto: ai lavoratori salariati? Troppo tardi, è passato l’esattore della Bce, Padoa Schioppa..
Spese militari: incremento del 13%.
Internazionalismo rosè, Afghanistan, Libano e il nuovo caccia militare Starfighter: in mancanza di Antonov...
“Grandi” opere: Mose e Tav. A che pagina erano del programma elettorale?
Base Vicenza: schizofrenia, continuità col governo Berlusconi, discontinuità col governo Berlusconi, rosso e nero che si confondono. Il voto “trappola"...
I comunisti rosè abbozzano, ancora una volta e si eclissano,non pervenuti, in piazza, nel dicembre 2006.
Privatizzazioni: reti idriche, Fincantieri, non si doveva nazionalizzare tutto, modello Chavez? Errata corrige, modello Brunetta...
Oligarchi e scalate: l’Opa alla BNL lasciva, che Consorte sussurra all’orecchio di Fassino: comunisti rosè non pervenuti.
Italia, patria di inceneritori e rigassificatori, “eco” cattedrali nel deserto del comunismo rosè, finanziati dai sudditi italiani.
Riforma Biagi: intatta, salari italiani, i piu’ miseri in Europa Occidentale, in compagnia di Portoghesi e Greci.
Legge sul conflitto di interessi: intatta, ”ciccia “ per la prossima campagna elettorale. Roma non è sta fatta in un giorno, del resto.
Legge Bossi-Fini: idem come sopra
Truffa del Tfr e Cgil: le primarie farsa, versione rosè e i sindacalisti “geneticamente modificati”
Dulcis in fundo:
Finanziaria DUE: fondi per le forze armate, spese militari, scuole private.
Tesoretto DUE: ai fanti e ai banchieri della Bce, così parlò l’esattore Padoa Schioppa.
Decreto Sicurezza ad opera di Giuliano “Scelba” Amato: i comunisti rosè frignano un po’, poi salta tutto, mancava un punto e virgola, deo gratias..
Mastella e famiglia perseguitati dalle toghe rosse: Giordano del Prc, redento dal marxismo leninismo, recita il mea culpa , offre solidarietà ed alibi..
Non male, per un governo “ostaggio” dei comunisti rosè…

Mauro Maggiora
 
La crisi del Gattopardo PDF Stampa E-mail

22 gennaio 2008

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Il governicchio Prodi è agli sgoccioli. O forse no. L'uscita dalla maggioranza del partitocrate di Ceppaloni e del suo partito-famiglia Udeur è l'ennesimo scricchiolio di un centrosinistra tenuto su con lo sputo (e con la fame di potere clientelare). Prodi e la sua compagine brancaleonesca stanno ormai sulle scatole un po' a tutti: a Confindustria che vedrebbe meglio una Grande Ammucchiata ("governo delle riforme"); al Vaticano, che orfano della Dc (che almeno lo rintuzzava, vecchia cara Dc) parla - e non a torto, anche se pro domo sua - di Italia in declino; e soprattutto agli italiani, che fra mutui da pagare, salari ridicoli, soldi pubblici depredati e inflazione da euro-truffa devono combattere quotidianamente per la sopravvivenza. Gli sono rimaste amiche le banche, all'uomo della banche Prodi. Ma ci pensa lo scalpitante Veltroni a succedere nelle loro grazie.
Se pare assurdo e macchettistico che il governo di un Paese cada perchè un ministro scambia un'inchiesta penale con il pretesto per alzare il proprio prezzo sul mercato politico, possiamo tranquillamente affermare che un altro inquilino a Palazzo Chigi non cambierà di una virgola lo stato comatoso di questa Repubblica fondata sulle lobby. Lo spettacolino sulle bozze di legge elettorale messo in piedi dal teatrino romano e il referendum alle porte per un nuovo imbroglio della "rappresentanza" lo confermano: questi qui pensano solo a stare a galla, loro, i loro famigli e i loro padroni.
Cade un governo ma l'Italia non cambia. Come sempre.

Alessio Mannino

 
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